francescanesimo

IL LINGUAGGIO DI FRANCESCO ANNULLA GLI ANTAGONISMI  

Enzo Fortunato
Pubblicato il 01-06-2017

Per la prima volta nel corso della storia si trovano insieme le famiglie francescane dell'Umbria per progettare un cammino comune, unire le proprie forze in un cammino di comunione animato dalle parole di papa Francesco

Per la prima volta nel corso della storia si trovano insieme le famiglie francescane dell'Umbria per progettare un cammino comune, unire le proprie forze  in un cammino di comunione animato dalle parole di papa Francesco nella sua prima visita ad Assisi. Un incontro tra i figli di san Francesco che terminerà oggi.

Questo incontro offre uno spunto di riflessione su quel nuovo umanesimo vissuto da Francesco d'Assisi che trova oggi una delle massime espressioni nel linguaggio francescano che nasconde significati che raccontano meglio di tante parole cosa significa essere e seguire le orme del Poverello. Un linguaggio che propone una rivoluzione dei luoghi, dei gesti, della cultura. Molti si domandano, ad esempio, perché il responsabile, la figura più importante, della Basilica di San Francesco si chiami Custode.  E' un nuovo modo di essere e stare all'interno della vita religiosa e della società. Nel linguaggio francescano non è colui che comanda, ma custodisce e valorizza, con umiltà e servizio, le spoglie del Santo, il suo carisma e la fraternità.

Nel raccontare i fatti e la vita di Francesco i biografi insistono sull’utilizzo di una terminologia volta ad annullare gli antagonismi di una società basata sul potere e sulla forza delle relazioni familiari. Il potere “sovrano” sta ad indicare il dominio che gli individui esercitano ponendosi in una condizione superiore rispetto ad altri: superanus è infatti un termine latino che indica gli individui della più elevata condizione sociale e gli stessi principi. Sono parole come questa che vengono contrastate dallo stile comunicativo francescano. Come ha evidenziato Jacques Le Goff nel suo "San Francesco d’Assisi", dalle fonti storiche emerge una grande diffidenza verso espressioni che implicano il predominio o che presuppongono uno stato d’inferiorità di talune persone. Così gli avversari lessicali di Francesco sono: maestro e magnate ma anche superiore e priore. Mentre diventano positive parole come minore e chiaramente fratello e fraternità.

La stessa "carica" di Ministro, che esiste nell'Ordine francescano, deriva dal latino minister, servo, nel senso di colui che opera, organizza, si mette al servizio di qualcuno. Il Cardinale Ravasi evidenzia come la parola minestra derivi da minus e si relaziona a Ministro come colui che la porge.

L'altro termine per indicare il responsabile di un convento non è Superiore, ma Guardiano, colui che con sguardo paterno e materno si prende cura dell'altro. Nella quarta Ammonizione San Francesco non usa mezzi termini: "'non sono venuto per essere servito ma per servire'(Mt. 20,28). Coloro che sono costituiti in autorità sopra gli altri, tanto devono gloriarsi di quell’ufficio prelatizio, quanto se fossero deputati all’ufficio di lavare i piedi (cf. Gv. 13,14) ai fratelli". E' indicare la strada della fraternità, i frati sono preziosi perché tali e non per la condizione sociale d'origine. E' interessante notare come nel lessico degli Scritti la parola più usata è Dio seguita da fratello. Nasce così un modo di stare nella società: circolare e non piramidale. Non l'uno sopra l'altro, ma l'uno accanto all'altro. E' il modello della tavola rotonda, descritto da Chrétien de Troyes. 

Anche le strutture religiose non vengono più chiamate Monastero o Abbazia sotto l'autorità di un Abate o Abbadessa. Il termine Abbazia, ad esempio, deriva dal tardo latino abbatīa e significa "ciò che appartiene all'abate". Convento, invece, richiama al convenire e allo stare insieme.

Infine, l'intero impianto lessicale è retto, ed è qui l'essenza della pedagogia francescana,  dall'esemplarità della vita. Quando il Santo incontrò il vescovo Guido che cercava di mitigare le aspirazioni troppo rigide della fraternità: “la vostra vita mi sembra dura ed aspra poiché non possedete nulla a questo mondo”; l’Assisiate, prendendo la parola rispose: “Signore, se avessimo dei beni dovremmo disporre anche di armi per difenderli. E’ dalla ricchezza che provengono questioni e liti [...]”. E’ interessante notare come Francesco non accusa. E' l'esemplarità che irrobustisce la forza delle parole e dei titoli. L'antropologia francescana fa proprio un proverbio della cultura araba frutto di viaggi, come quello a Damietta nel 1219, e incontri: «ogni parola, prima di essere pronunciata, dovrebbe passare tre porte. Sull'architrave della prima è scritto: E' vera? Sulla seconda campeggia la domanda: E' necessaria? Sulla terza è scolpita l'ultima richiesta: E' gentile?».


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